Lo zafferano è pianta perenne, bulbosa, originaria dall'Asia Minore, dove è indigena. I suoi fiori che dà in autunno sono ordinariamente di un violetto porporino, gli stimmi di un rosso aurora molto odorosi. Nel linguaggio dei fiori: Sfacciataggine. Ama terreno asciutto, forte, ben esposto e sostanzioso. Si raccolgono i fiori per levarne i pistilli rossi fragrantissimi. Si moltiplica per bulbilli, che formansi tutti gli anni attorno al bulbo madre, e si piantano in agosto. Varietà il Crocus vernus, il Crocus multiflorus e longiflorus, che nasce selvaggio in Sicilia. Coltivasi un di presso come gli agli e le cipolle. Vegeta anche nel nord, ma teme i freddi rigorosi e perisce sotto il 15°. Lo zafferano à sapore piccante ed amaro, odore forte particolare. Il suo nome crocus da croche filo, per gli stilli filiformi che costituiscono il suo fiore.
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sostanzioso. Si raccolgono i fiori per levarne i pistilli rossi fragrantissimi. Si moltiplica per bulbilli, che formansi tutti gli anni attorno al bulbo
Pianta oleacera nota e gradita. Vuole esposizione di mezzodì. È spontanea nei terreni sabbiosi d'Europa. Tre varietà principali — il bianco precoce e molto produttivo, verde all'estremità, che è quello d'Olanda e del Belgio — il violetto , più grosso di colore violetto o rossiccio all'estremità, che è quello di Ulma, Polonia-Darmstadt — e il verde meno grosso del precedente, ma più saporito, verde e tenero in tutta la sua lunghezza che è quello di Piemonte (celebri quelli di Cilavegna). L'asparago di Praga è il medesimo. Si moltiplica per mezzo delle radici, dette occhi, ma egualmente e forse meglio si anno asparagiaje colla semina. Durano le radici dai 20 ai 30 anni e più. Se ne mangiano i talli in primavera. Gli asparagi costituiscono una verdura saporitissima, di facile digestione, gradevole, ma poco nutritiva. Servono a moltissimi usi in cucina. Si fanno cocere senz'acqua in tegame di terra o tortiera, chiusi a foco lento ove cocendo col proprio vapore, sono più saporiti, devono essere poco cotti altrimenti perdono del loro sapore. Si condiscono con burro od olio. Si mangiano in insalata con olio, pepe e limone. Si friggono col pesce infarinati, s'accompagnano alle ova, al riso, agli stufati, nei ragouts e nei potaggi(1). Per spedizione o conservazione, incartarli uno ad uno, durano persino 15 giorni. La parte bianca del tallo non mangiabile può servire a fabbricare carta grossolana. Anche presso gli antichi l'asparago fu sempre tenuto in grande onore. Ne parlano tutti gli scrittori da Galeno a Catone, da Columella a Plinio. In Italia erano rinomatissimi quelli di Ravenna, onde Marziale :
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tallo non mangiabile può servire a fabbricare carta grossolana. Anche presso gli antichi l'asparago fu sempre tenuto in grande onore. Ne parlano tutti
Il celebre Fontanelle, segretario perpetuo dell'accademia, che morì di cento anni, andava matto per gli asparagi. Un dì invitò l'abate Terrasson a pranzo e siccome l'abate amava gli asparagi al burro e lui all'olio - fu convenuto che metà si dovessero cucinare al burro e l'altra metà all'olio. Ma giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco « Tutti all'olio, tutti all'olio !
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giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco « Tutti all
In generale tutti gli erbaggi dell'orto che voglionsi conservare devono essere raccolti di recente e ben maturi. Le piante e le radici succose si devono prima scottare, immergendole nell'acqua bollente per qualche minuto, poi conviene gettarle nell'acqua fresca, asciugarle e farle disseccare sia col mezzo del sole, sia col forno. Quest'ultimo modo è da preferirsi al primo. Gli erbaggi si tagliano a pezzi, si mondano, e si dispongono su graticci; così preparati si mettono al sole o al forno. Dopo che l'erba è disseccata si tiene esposta all'aria in luogo fresco e ventilato. Per servirsene al bisogno si fanno rinvenire nell'acqua. I cavoli oltre al sopraccitato modo si possono conservare nella sabbia tenendoli in luogo fresco.
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In generale tutti gli erbaggi dell'orto che voglionsi conservare devono essere raccolti di recente e ben maturi. Le piante e le radici succose si
Il Broccolo è della famiglia numerosa dei cavoli. Si seminano da Aprile fino a Giugno in luna vecchia. Vuole terreno lavorato e concimato, si trapianta ingrassato nuovamente in Settembre ed Ottobre. Bisogna guardarlo dal gelo. È cibo molto saporito, ma per taluni molto indigesto. Si mangia cotto in insalata o al burro, oppure con salsa au gratin con cacio parmigiano. E companatico del tempo quaresimale. Varietà, il Cavol-fiore (botrytis) e il Cavol-rapa (gongyloides). Del broccolo e del cavol-fiore se ne mangia il fiore ancora immaturo, e del cavol-rapa se ne mangia la radice. I migliori vengono in Romagna, Sicilia e Malta, da noi celebri quelli di Tremezzina sul Iago di Como. Dei broccoli in particolare la storia non ci tramanda nulla, e tutti li confondono coi cavoli. Ecco due maniere di mangiare i broccoli o cavoli-fiori. 1.° In salsa bianca. Fate cuocere i broccoli nell'acqua salata con un pizzico di farina, e lasciateli poi sgocciolare; disponeteli ancor caldi su d'un piatto e versatevi sopra la salsa seguente : — Fate fondere in una casseruola tanto come un uovo di burro con sale e pepe aggiungendovi un cucchiaio di farina, e poco per volta, rimestando sempre, un bicchiere d'acqua bollente. Cotta la farina, ritirate la salsa dal fuoco e legatela con un tuorlo d'uovo sbattuto prima con un filo di aceto oppure con una noce di burro senza più rimettere la salsa al fuoco. — 2.° In insalata. Bolliti nell'acqua salata e sgocciolati i broccoli e asciugati con una salvietta, disponeteli in un'insalattiera. Preparata a parte la salsa di olio, aceto, capperi, due o tre acciughe e prezzemolo triti, versatela sui broccoli. — Da noi corre questo detto :
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tutti li confondono coi cavoli. Ecco due maniere di mangiare i broccoli o cavoli-fiori. 1.° In salsa bianca. Fate cuocere i broccoli nell'acqua salata
Il suo nome dall'arabo Kappar. Arboscello ramosissimo, perenne, originario dall'Asia che da Maggio a Luglio dà moltissimi e grandissimi fiori bianchi. Il frutto è una bacca uniloculare di forma elittica, lunga un pollice. Da noi vegeta benissimo sulle vecchie mura e tra le rupi dei colli esposte a mezzodì ed anche a settentrione, purché riparate dai venti. Nel linguaggio dei fiori: Solitudine beata. Nei vasi riesce a stento. Meglio che coi semi, si propaga con rami radicati, mettendoli in qualche crepaccio di muro vecchio e adattandovelo alla meglio con un poco di terra. Rivegeta ogni anno, se si avrà cura di tagliarne i rami al giungere dell'inverno sin presso le radici. Sonvi circa 30 specie di capperi conosciute, molte delle quali coltivate. In Arabia avvene una che cresce fino all'altezza di un'albero. Tutti conoscono l'uso dei capperi, che sono i bottoni dei fiori, ed anche i frutti acerbi che si lasciano appassire all'ombra per qualche giorno e si mettono nell'aceto poi o nell'acqua salata per condire alcune vivande o farne salse speciali. Ai primi freddi si possono raccogliere anche le frondi, farle bollire alquanto all'acqua, acciò perdano l'amaro e ben asciutte accomodarle con aceto e sale e serbarle, come il frutto, per le insalate. Il cappero è rammentato dalla Bibbia nell'Ecclesiaste. Gli antichi gli assegnavano molte virtù e ne usavano per cucina gli Egiziani ed i Romani testi Dioscoride e Plinio. È stimolante e facilita la digestione. In medicina si usa la corteccia della radice e godette già riputazione specialmente nei mali di milza. In Algeria viene usato in decotto contro l'ischiade. Forse là il capparo vi è più attivo che da noi; aveva però già notato Dioscoride che bibitur utilissime in coxarum doloribus. Esternamente la radice contusa e cotta si applica come antisettica, cicatrizzante e stomachica. La scuola di Salerno ci raccomanda: Sit tibi cappàrus solidus rubeus subamarus.
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coltivate. In Arabia avvene una che cresce fino all'altezza di un'albero. Tutti conoscono l'uso dei capperi, che sono i bottoni dei fiori, ed anche i
Il suo nome da Bresic, cavolo. È la pianta erbacea, annuale indigena che tutti conoscono. Vuole terreno lavorato, esposto, teme più il caldo che il freddo. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in Febbraio e Marzo per averle nella state, le tardive in Aprile e Maggio si trapiantano in Agosto, si raccolgono in Autunno e nel verno ; a salvare i cavoli dal bruco (gattine) circondarli da strisce di fusti di canapa. La varietà del Gambus, (forse dal francese Choux Cabus) Brassica oleacera capitata è meno saporita. Anche del Gambus molte varietà. È distinto quello detto Cavolo Cappuccio di Schweinfurth a testa enorme, a fusto cortissimo - merita d'essere introdotto da noi per la sua straordinaria grossezza, precocità e certa squisitezza. Non è a metter da parte quello di Bruxelles a getti e a mille teste, che à fusto elevato intorno al quale sporgono tante verzette, ricercate per delicatezza di gusto in minestra, o per guarnizione(1). Il cavolo si mangia in cento maniere - nelle minestre - nelle zuppe - in insalata - si mette negli intingoli - serve ad accompagnare i salsicciotti - a far polpette - si condidisce come gli spinacci all'olio, al burro - se ne fà la così detta verzata. Il cavolo è più saporito quando à sentito i primi freddi. Non si deve tagliare col coltello, ma strappare le foglie colle mani, perchè il ferro gli toglie sapore e comunica cattive qualità. Troppo cotto è indigesto e flattulento. Ama molto il burro e specialmente il lardo, va d'accordo colla carne d'animale. Da solo il cavolo vale niente - onde proverbio: El var un càvol, una sverza, per dire che val nulla. I cavoli crudi servono alla preparazione di quelli erbacei fermentati che si conservano e si mangiano chiamati Sauer-Kraut (erba acida) cibo prediletto dei Tedeschi se del quale Marziale :
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Il suo nome da Bresic, cavolo. È la pianta erbacea, annuale indigena che tutti conoscono. Vuole terreno lavorato, esposto, teme più il caldo che il
Plinio li maltratta e Catone ne canta le lodi. I Romani, un bel dì cacciarono da Roma tutti i medici che rimasero esigliati per lunghissimo tempo e Catone il censore assicura che i Romani si curarono da ogni male coi cavoli. Varrone salvò, mercè loro, la sua famiglia dalla pestilenza. La più celebrata specie presso i Greci ed i Romani, era la verza nostra, detta appiana, benchè fossero conosciute e coltivate anche le altre specie. Nel bon tempo antico, i cavoli erano un contraveleno ai funghi velenosi, cotti con pepe davano molto latte alle balie e molta voce ai cantanti, il loro seme nel brodo di carne era un toccasana per tisici. Il cavolo come la minestra dei nostri nonni faveva diventar alti i ragazzi e la scuola di Salerno dice:
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Plinio li maltratta e Catone ne canta le lodi. I Romani, un bel dì cacciarono da Roma tutti i medici che rimasero esigliati per lunghissimo tempo e
Lavate i legumi, come ceci, lenti, fave, piselli, ecc. nell'acqua fredda appena raccolti e fateli seccare Perfettamente al sole. Tutti gli insetti già sviluppatisi nei legumi ne sfuggiranno e quelli che non lo sono ancora non si svilupperanno altrimenti.
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Lavate i legumi, come ceci, lenti, fave, piselli, ecc. nell'acqua fredda appena raccolti e fateli seccare Perfettamente al sole. Tutti gli insetti
Varrone dice che cucumis viene da cucumeres a curvitate dictos, quasi circumvimeres, cioè che desumono il nome della forma. Nel linguaggio dei fiori: goffaggine. È pianta annale originaria dall'Oriente o meglio dalle Indie. Ama bon terreno a mezzodì, larghe irrigazioni. Ad ottenere grossi frutti si svetta la pianta dopo fiorita. La semente si fa nascere su letto caldo e si trapianta in Aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo o mal maturo e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli sono molti indigesti — cotti i citrioli non lo sono, e si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa val poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Num. 11.
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lo sono, e si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a
I semi di tutti i grani danno, per mezzo del macinamento, una polvere che è la farina, la quale si separa dalla crusca, che è l'involucro del grano, per mezzo del frullone o del baratto. Le farine usuali che entrano nella cucina sono quelle di frumento, segale, orzo, frumentone, riso, alle quali va aggiunta la fecola di patata. (Vedi ciascuno di questi prodotti). La farina per conservarsi dev'essere di bon grano e sano, dev'essere asciutta, chiusa in luogo fresco d'estate e tepido d'inverno. Gioverà che sia ben compresa, o moverla di tanto in tanto. La farina stacciata si conserva meglio che quando è mescolata alla crusca, essendo questa soggetta ad inacidire. Dovendosi mescolare varie qualità di farina, lo si faccia all'atto, volta per volta. Se è passata per uno staccio sottile e fino, chiamasi fiore, per uno alquanto più largo, farina, indi il cruscatello, detto rogiolo. Dell' uso culinario della farina dirò a suo luogo. La macinazione del grano e la mescolanza delle farine è arte antichissima , presso tutti i popoli. Omettendo altre citazioni, ricordo Marziale, lib. 13, che amava le galline grasse: Pascitur et dulci facilis gallina farina. E Perseo, Sat. 3 : cribro decussa farina. E il proverbio citato dal medesimo Persio contro l' esattore e l' agente del Demanio : Exigit e statuis farinas. E l'altro contro chi promette molto e mantiene nulla: Verba pro farina. E i nostri: La farina del diavol la và in crusca — Lè tutta farina de fà gnocc, per dire che è tutta la medesima cosa — Lè minga farina del sò sacch, ecc.
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I semi di tutti i grani danno, per mezzo del macinamento, una polvere che è la farina, la quale si separa dalla crusca, che è l'involucro del grano
Il paese originario del frumento, non si conosce, perchè non si è mai trovato allo stato selvaggio. Vi sono molte specie e varietà di frumento a seconda dei paesi, del clima e delle annate. Il frumento è il cereale più nobile, prezioso ed utile. È il principale cibo dell'uomo e piace a tutti gli animali. La farina del grano del frumento (vedi Farina), serve a fare il pane, le paste da minestra e da credenza, si mescola a mille manicaretti. Se ne fà colla, amido , cipria. Dal grano del frumento se ne cava birra, aquavita, spirito. La paglia serve per foraggio alle bestie e per mille ingegnose manifatture. Da Adamo in poi fu conosciuto da tutto il genere umano. Era dagli antichi consacrato a Cerere, da qui la parola cereale. I più grandi mercati del frumento in Europa sono nella Crimea, nell'Ungheria, nell'Olanda e ad Amburgo in Germania. Nel linguaggio, dei fiori frumento dice: Opulenza.
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seconda dei paesi, del clima e delle annate. Il frumento è il cereale più nobile, prezioso ed utile. È il principale cibo dell'uomo e piace a tutti gli
Pelusio era città dell'alto Egitto fondata da Peleo, padre del grande Achille. E a questo proposito S. Gerolamo nel lib. 9° in Ezechia, dice che si chiamava lente Pelusiaca perchè Pelusio era come il grande mercato della Tebaide e dell'Egitto, da dove pel Nilo discendevano le lenti fino ad Alessandria. Era proverbio: Ante lentem augere ollam - cioè preparare un'olla più grande che la quantità delle lenti, donde ne venne il nostro: pussee grand l'œucc ch'el bœucc. E l'altro che si legge in Aristofane: Dives factus, jam desiit gaudere lente - il che equivale al nostro parvenu che si scorda di essere stato quello che era. Borc pretende che gli antichi prima di cocerle lasciassero loro subire un principio di germinazione, onde svilupparne meglio il principio zuccherino come si fà oggi coll'orzo tallito. La lente ebbe dei detrattori. Ippocrate e Galeno ne dissero assai male, nient'altro che è autrice delle più grandi malattie e tra le altre del cancro, del sciro, della lebbra e della cataratta. Precisamente come dopo tanto tempo Martin Lauzer assicura che la lente guarisce da 26 malattie, tra le quali la gotta, la cefalogia, l'afrodismo ed il vaiuolo. Al principio del 600 in Lombardia, teste Francesco Gallina medico torinese, correva il proverbio: Chi mangia lenticchie caga una secchia. Stile del 600. E però la lente è un legume saporito, nutriente e che si digerisce meglio passata allo staccio e spoglia di buccia. Roques dopo aver date molte ricette a cucinar le lenti, finisce eoll'assicurare il prossimo che egli preferisce « une purèe de lèntilles, on repose mollement un morceau de pètit lard salè et tendre ». Ma alla lente era preparata una gloria assai maggiore di quella di servire di soffà ad un anitra o ad una salsiccia. L'inglese Warton inventò la famosa Ervalenta (dal suo nome ervum lens) e la fè passare come un prodotto di pianta forastiera ed il pubblico credenzone correva a pagare 10 lire al chilogrammo la farina di lenti che valeva 20 centesimi. Poi dai Du-Barry disputatisi coi Warton nel 1854 il privilegio di gabbare il mondo, ne venne la Revalenta o Revalescère, la famosa Revalenta arabica, che guarisce da tutti i mali. Sottoposta dal Consiglio di Sanità di Londra e dall'illustre Payen di Parigi a conscenziosa analisi risultò composta per la massima parte di farina di lenti scorticate, coll'aggiunta in varie proporzioni di quella di piselli, di melica, sorgo, avena, orzo e una centesima parte di sale di cucina. Pure il Du-Barry continua l'allegro commercio colle più belle trovate di ciarlataneria.
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Revalescère, la famosa Revalenta arabica, che guarisce da tutti i mali. Sottoposta dal Consiglio di Sanità di Londra e dall'illustre Payen di Parigi a
Il lino è una pianticella annua indigena venuta a noi dall'Egitto. Ve ne sono 19 varietà. Un etimologo tedesco vuole che il suo nome venga dal Celtico lein, un uccello che si pasce dei semi del lino, che dev'essere il passero. Col quale sistema di etimologia si può spiegare benissimo anche che la parola osso viene da cane, essendo i cani che mangiano le ossa. Pare invece che venga da lis linon e linteum, dall'uso più comune che si fà della pianta, o dal latino linire, ungere fregare, il che indurrebbe a credere l'uso antichissimo dell'olio di lino. Il seme del lino dà un olio, da noi chiamato di linosa, che non piace a tutti, che non à i pregi di quello di oliva (che à dato il nome all'olio, perchè olio viene da oliva, olea), ma che però, quando è fresco, e molto fresco, e fatto a freddo, è saporito e assai gustoso nella maggior parte delle insalate. Specialmente nell'alta Lombardia è molto usato ed è assai sano. Dal seme del lino se ne cava farina, ma per quanto si sia tentato anche dagli antichi di farne pane o di servirsene per nutrimento, fu sempre rifiutata, ingenerandone l'uso malattie ed anche la morte. Di essa se ne serve felicemente la medicina per cataplasmi, emollienti, ecc. Il lino si coltiva in grande nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania, in Irlanda sulle rive del Baltico e nei dipartimenti francesi del Nord. Celebre quello di Riga in Russia, pregiato quello dell'Egitto e del Canadà. Da noi si coltiva nelle provincie di Pavia, Lodi, Crema, Piacenza e nella Lomellina. Il lino ci accarezza il corpo di giorno e di notte, ci serve democraticamente in cucina e fa brillare nella sua candidezza i calici aristocratici dello Champagne e del Johannisberg.
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di linosa, che non piace a tutti, che non à i pregi di quello di oliva (che à dato il nome all'olio, perchè olio viene da oliva, olea), ma che però
L'Orzo dopo il frumento ed il riso è il cereale che serve più d'ogni altro all'alimentazione dell'uomo. Si crede originario della Palestina e della Siria - si afferma però che fu trovato indigeno in Sicilia. Il suo nome da horreo, per le reste ruvide al tatto. Viene in quasi tutti i terreni, ama però meglio quello sciolto. Sopporta il freddo più della segale, nella Svizzera si coltiva a m. 1900 sul livello del mare. Seminasi in primavera ed autunno. Ve ne sono diverse varietà; se ne coltivano due specie: il volgare e lo scandella, questo per pascolo al bestiame. Del volgare migliore quello di Germania e della Siberia. Colla farina del grano d'orzo se ne fà pane, la si mescola con quella del frumento. Coll'orzo se ne fanno eccellenti, saporite e sanissime minestre. L'orzo mondo, di scelta qualità, precedentemente con meccanico sfregamento arrotondato, chiamasi perlato, e viene preferito a farne pappine alimentari e cataplasmi. Un principio di germinazione altera i principi costitutivi dell'orzo, sì che, mentre aumenta la proporzione dell'amido e zuccaro, diminuisce quello del glutine e dell'ordeina. In questo stato chiamasi orzo tallito, o germinato, che è preferito negli ospedali come base al decotto pettorale. L'orzo è il principale ingrediente e la base della birra. Gli antichi lo chiamano frumento nobilissimo. Gli Etiopi e gli Indi non conobbero altro pane che quello di miglio e di orzo. Nella Grecia era celebre l'orzo di Atene dove era in antichissimo uso di cibo, al dire di Meandro e pare che fosse pure l'alimento più omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il foraggio dei cavalli, lo si dava al bestiame e ai soldati vigliacchi, ignominiæ causa. Marcello diede alle sue legioni dell'orzo invece del frumento, perchè si erano lasciate battere da Annibale. Aristotele scrive che i fornai e coloro che facevano il pane d'orzo diventavano imbecilli. Nella Sacra Scrittura l'orzo è pure ritenuto come cibo ignominioso e da poco. L'orzo, il miglio e la veccia sono pressochè sempre messi insieme (Isaia). Ezechiele parlando dei falsi profeti dice: Et violabant me (cioè Iddio) ad populum meum propter pugillum hordei etfragmen panis. (Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo, vedi In Isaiam. Lo stesso S. Gerolamo asserisce aver visto in Siria un'eremita che visse trent'anni con orzo ed acqua sporca. Galeno ne scrisse lungamente in un libro tutto dedicato al decotto: De Phtisana hordacea.
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Siria - si afferma però che fu trovato indigeno in Sicilia. Il suo nome da horreo, per le reste ruvide al tatto. Viene in quasi tutti i terreni, ama
La patata, o pomo di terra, o solano (dal latino solanum, sollievo), nel linguaggio dei fiori: beneficenza. È una radice tuberosa originaria dall'America e precisamente dal Chili e dal Perù, dove si trova ancora allo stato selvaggio. Fu importata colla Dalia, e, curioso! questa per il tubero, la patata per il fiore. Propriamente il nome di patata appartiene ad altra pianta, la vera patata ipomea o convolvulus patata, che viene solo nei climi caldi. Vuole terreno pingue, vegeta in tutti i climi, nelle più basse pianure come a 4000 metri sopra il mare (nell'America e nella Svizzera), sotto l'Equatore (Quinto) come nella Siberia. Da noi si raccolgono i tuberi dall'Agosto al Settembre, à fiori bianchi e violetti. Si propaga per seme o meglio si piantano i così detti occhi che sono le parti della patata accennanti al germoglio, cessato il gelo da metà Marzo in avanti. Si conservano per tutto inverno, ma al caldo fioriscono, all'umido marciscono, al freddo gelano, e temono la luce. Fu portata in Europa dagli Spagnuoli. Pedro Cicca fu il primo a parlarne nel 1553, e nel medesimo anno Fiorentino Fiaschi ne scriveva da Venenzuola a suo fratello. Il Cardano ne fà menzione nel 1557. Nel 1565 fu portata in Irlanda da Hawkins e poi introdotta in Francia. Prima che Releigh e Drake dalla Virginia la trasportassero in Inghilterra, era coltivata in Toscana, ne fà fede il frate Magazzini, e il Redi che nel 1667 ne mangiava in Firenze alla corte di Cosimo II. Le patate in Italia dapprincipio si chiamavano tartuffoli. Nella Germania s'introdusse nel 1710 e dovunque nel 1772 era coltivato negli orti botanici e nei giardini come pianta di lusso. Ma la sua diffusione, come tubero alimentare fu lenta e contrastata. I codini d'allora, la avversarono come pianta sospetta, venefica. Ai codini si unirono i medici più celebri, che la incolparono della degradazione fisica e morale delle popolazioni, e fomite di tutte le malattie. Ai codini ed ai medici fecero coro i frati ed i parroci che dai pulpiti la chiamarono radice del diavolo. Figuratevi il popolo! Anche oggi la coltura della patata è interdetta in Corea. Non fu che sulla fine del secolo passato che potè trionfare.
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caldi. Vuole terreno pingue, vegeta in tutti i climi, nelle più basse pianure come a 4000 metri sopra il mare (nell'America e nella Svizzera), sotto l
Ed ora la patata è l'amica del povero e del ricco, del medico e del prete. Certamente la patata non è squisita come la pesca, nè nutriente come un beeftek ma è sana e saporita anch'essa, e anch'essa sazia la fame del povero. Se ne fà farina e pane mista a frumento. La si mangia sola, lessata, cotta sotto la cenere. In cucina serve in mille modi, a tavola fà capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso perfino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffeln, Tartuffeln, Tartoffeln, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdbohnen, Bataten, Patatos, Potatos, Kartoffeln, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro. Dalla sua fermentazione se ne cava un' acquavite nociva che ubbriaca ed abbrutisce i poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fà birra e carta. Raschiata e scaldata lentamente nell'acqua forma una specie di saponata che dà lucentezza e bianchezza alle lingerie. Serve di foraggio ai quadrupedi, di cibo ingrassante al pollajo. Sotto l'aspetto medico; Redi scriveva: « Hanno le patate nome d'essere un po' ventose, a me però non è paruto, ch'abbiano questo difetto, ma può essere che lo abbiano se sieno mangiate soverchiamente. » Sono un antiscorbutico, servono crude raschiate come cataplasma nelle piaghe cancrenose, sono rimedio volgare nelle scottature. Gordon in China viveva giorni e giorni di sole patate. Ma se la patata è sanissima quando è sana, quando incomincia a germogliare, si spoglia della fecola e allora è nociva, sviluppandosi pure la solanina che è veleno. Vi sono stati casi di avvelenamento di patata che si manifesta coll'idrope e piaghe cancrenose all'estremità.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
sotto la cenere. In cucina serve in mille modi, a tavola fà capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso perfino nella pasticceria
Pianticella annua indigena originaria delle Antille, del Brasile e Messico. Si semina in primavera a tutto Maggio, ama gran sole e terreno ricco, fiorisce in estate. Nel linguaggio dei fiori : rabbia. È detto peperone quasi pepe grande. Ve ne sono 10 varietà, tra queste: il comune, lo storto, a ciliegia, dolce del Brasile, tondo, di Spagna, di Voghera detto capsicum grossum, carnoso corto ed altre. Quello di Cajenne è piccolo e più forte di tutti. Tutta la pianta à sapore acre, piccante, calido, ma principalmente i frutti, e del frutto i semi sono più piccanti ed acri del pericarpio. I frutti verdi ed immaturi si conservano per uso di tavola nell'aceto, che ne mitiga l'acredine. Rossi, maturi, essicati e ridotti in polvere, costituiscono ciò che si chiama pimento, o pepe di Cajenne, che à pur esso i suoi usi culinari come la più piccante delle droghe indigene. Altri lo vogliono originario dell'Africa intertropicale, donde fu portato dai negri in America e poi in Europa. I primi che l'introdussero furono i Portoghesi che lo chiamavano pimenta del rabo cioè pepe colla coda. Ma visto che il peperone faceva concorrenza al pepe e temendo di danneggiare il commercio del vero pepe, il re di Portogallo ne proibì l'importazione. Tale peripezia del peperone ce la racconta Carlo Clusio in certe sue annotazioni dell'anno 1582. Comunque sia è certo che a noi pervenne dall'America e che prima era sconosciuto. Si chiama capsicum dal vocabolo greco che significa mordere, per indicare il suo sapore caustico. Il pimento, è uno degli slimolanti più attivi del ventricolo, risveglia l'appetito, corregge il languore e l'atonia intestinale, sopprime le flattuosità ed è rimedio infallibile contro le coliche prodotte da carne di pesce. Caccia le ascaridi, giova contro le emorroidi, secondo l'Accademia di Parigi. Eccellente il pimento per condire verdure, pesci e in certe salse. Il capsicum grossum di Voghera si mangia verde all'olio, e scottato nell'aqua bollente e diviso in quattro parti, toltine i semi si possono imboraggiare e farli fritti. I milanesi dicono anche peveron un naso rosso, grosso e bernoccoluto.
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tutti. Tutta la pianta à sapore acre, piccante, calido, ma principalmente i frutti, e del frutto i semi sono più piccanti ed acri del pericarpio. I frutti
Noto legume annuale. Quello detto campestre nasce spontaneamente in alcune parti d'Italia e di Germania. Ma il sativum è quello coltivato negli orti. Avvene molte varietà. Il nano (P. humile) primaticcio olandese da noi detto anche quarantin. Il quadrato (P. quadratum) o reale bianco e verde. L'umbrellatum, che è piuttosto d'ornamento nei giardini. L'excorticatum, pisello dolce zuccherino che si mangia unitamente al guscio detto in francese Pois goulus e da noi Taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: confidenza. Si può seminarli in varie epoche e averli tutti i mesi. Il pisello ama terreno leggero, sostanzioso, lavorato e soleggiato; non vuol essere riseminato nel medesimo luogo. Si fa seccare e si conserva per l'inverno. La varietà verde, in Francia è coltivata su larga scala. In Inghilterra si coltiva il pisello per alimentare le pecore nell'inverno. Vuolsi che il nome di pisello l'abbia da Pisa, antichissima città del Peloponneso, da dove sembra venuto in Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal nome originario del legume in lingua celtica, o dal vocabolo greco, che significa cadere. Il nostro nome di erbion pare sia un corrotto dell'Arneja spagnuolo o un prolungamento dell'erbse tedesco. Il pisello fu sempre ritenuto uno dei più graziosi legumi. La storia ci tramanda che aveva l'onore delle tavole reali. Gli autori greci e latini ne parlarono tutti con vera benevolenza, i più maldicenti lo accusano di flattulenze. Perfino l'austerissimo Eupolim, forse il più antico commediografo greco, ne fa menzione onorata. L'imperatore Tito ne andava matto. I medici non potendone dir male, come al loro solito, lasciano però scappare qualche bieca osservazione. Baldassare Pisanelli, medico bolognese, nel suo Trattato dei cibi et del bere, dice: « I piselli non sono molto differenti dalle fave, ma fanno venire sospiri et inducono strane meditationi. » Con sua bona pace, il pisello è l'ottimo fra i legumi, digeribile, saporito, nutriente. I freschi e teneri sono più digeribili che i secchi, questi alquanto flattulenti, bisogna lasciarli macerare nell'aqua. Si mangiano anche crudi lorchè sono freschi e tenerelli. Si cucinano in diversi modi : colle minestre, colle carni, nei manicaretti. I piselli si fanno seccare col medesimo metodo dei fagioli e degli altri legumi. Si conservano verdi nell'aqua e aceto e prima di mangiarli si lavano in aqua fresca. Devonsi però raccogliere perfettamente maturi, e si leva ai grani stessi la prima scorza. In Francia, colla buccia mista ad altre erbe aromatiche ed amare, si faceva una specie di birra usata principalmente dai contadini. Nel Chili è molto popolare la chicha de oloja, bevanda fermentata che si fabbrica coi piselli e col maiz. Nell'anno 1536 il cardinale Lorenzo Campeggio à dato un pranzo in Transtevere alla Maestà Cesarea di Carlo V, Imperatore. Era giorno quadragesimale « et prima fu posta la tavola con quattro tovaglie profumate.... et dopo vari servi i ; » furono portati « piselli alessati con la scorza et serviti con aceto et pepe sopra, libre 8 in 4 piatti. » Poi dopo molti altri servizii « levata la tovaglia et data l'aqua alle mani si mutò salviete con forcine d'oro et d'argento con stecchi profumati in 12 tazze d'oro et mazzetti di fiori con garofoli profumati » e tra le altre cose furono ancora serviti « piselletti teneri con la scorda conditi libre 6 in 3 piatti. » Tanto ci tramanda Bartolomeo Scappi, maestro nell'arte del cucinare, del quale Papa Pio V dice: « Peritissimi magistri Bartolomei Scappij qui nunc prefectus est ex nostris intimis coquis. (Dal Breve: Datum Romæ apud Petrum. Tertio Kalendis Aprilis, anno quinto).
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goulus e da noi Taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: confidenza. Si può seminarli in varie epoche e averli tutti i mesi. Il pisello ama
Pianticella annua conosciutissima, originaria dall'America Meridionale e venuta tardi in Italia. La sua propagazione in Europa non conta più di due secoli. Cento anni fa era appena conosciuta da noi. Vuol terreno lavorato, piuttosto asciutto, non tanto pingue e molto soleggiato. Si semina in Febbraio su letto caldo e si trapiantano le pianticelle sviluppate quando non s' abbia più a temere il freddo e la brina. La troppa vegetazione è a scapito del frutto. Avvene molte varietà. Il rosso nano precoce, abbondantissimo di frutti grossi, succosi, saporiti, di lunga conservazione dopo colti. Il mostruoso conqueror, dà frutti enormi da un chilogrammo. À fusto arboreo, così detto perchè si mantiene dritto e robusto a mo' di un alberetto senza sostegno e produce frutti grossi di un rosso assai intenso e si possono conservare più di qualunque altra varietà a frutti grossi. Il piccolo, a forma di pera, che à frutti a grappoli, sono i migliori per mettere in aceto e si conservano sospesi all'asciutto anche nel verno. Il rosso liscio, o senza coste, rimarchevole per la sua bellezza e grossezza. Il pomodoro è un frutto bello ed allegro. Ànno ragione i francesi di chiamarlo Pomme d'amour. Ancor verde, a metà maturanza , se ne fa frittura aciduletta, si mangia in insalata, si mette nell'aceto per l'inverno. Maturo, rosso, se ne fa salsa gustosissima che oramai serve in cucina per pressochè tutti gli intingoli ed anche per confettura. Il pomodoro è meglio condimento che cibo, non dà alcun nutrimento. È salubre, benchè contenendo molto acido ossalico, il suo uso troppo generoso e smodato può disporre all'ossularia, produce vertigini, ronzío, gastralgie ed altri disturbi nervosi. Dalle foglie del pomodoro se ne cava una tintura ocracea.
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gustosissima che oramai serve in cucina per pressochè tutti gli intingoli ed anche per confettura. Il pomodoro è meglio condimento che cibo, non dà alcun
Il suo nome dal greco Selidon, o, secondo altri, da Petrosselene, pietra di luna, avendo i semi la forma d'una luna nascente. Vuolsi originario della Sardegna, dove cresce naturalmente, ma oggi è comune a tutti i paesi. Il prezzemolo non teme nè il caldo nè il freddo, non è niente delicato riguardo al terreno, amando però meglio quello leggero, ricco ed umido. Si semina a primavera e se ne à tutto l'anno. Avvi la varietà riccia, o prezzemolo crespo, le cui foglie sono frastagliate; la varietà grossa, o prezzemolo sedanino di Napoli, le cui radici voluminose sono buone a mangiarsi fritte ed accomodate. L'antico petroselinon è quello detto di Macedonia che alligna fra le pietre e fra le roccie (da cui il nome, quasi apium petrinum), à foglie più ampie ed è più dolce. La semente invece è più aromatica e d'un sapore che si avvicina a quello del cumino. Questo ama i terreni sabbiosi e teme il freddo. Avvi quello di palude e quello di montagna selvatico. Il prezzemolo comune somiglia molto alla cicuta che nasce spontanea negli orti, si riconosce però all'odore, perchè quest'ultima puzza tagliandola, e tramanda un odore disgustoso di sorcio. Tutta la pianta del prezzemolo à odore e sapore aromatico, rende i cibi più sani e più aggradevoli, eccita l'appetito e favorisce la digestione. Entra gradito ospite nelle minestre, nelle zuppe, pietanze, guazzetti e salse. Ercole, dopo aver ucciso il Leone Nemeo, si cinse la tempia con una corona di prezzemolo, da qui la consuetudine d'incoronare i vincitori nei giuochi nemei. I poeti pure s'incoronarono di prezzemolo, onde Virgilio: « Floribus atque apio crine ornatus amaro. » Plinio dice che non solo il prezzemolo è un cordiale per gli uomini, ma lo è anche per i pesci: « Pisces quoque, si ægrotant in piscinis, apio viridi recreantur » il che vuol dire: se ti si ammalassero i pesci nella piscina, mettivi delle erborine verdi che guariranno. Le lepri ed i conigli ne sono avidissimi, anzi il darlo loro fa bene e li fa guarire. Le galline e i papagalli ne soffrono ed anche muoiono. Ma se il prezzemolo è un aroma sano, non se deve abusare, perchè è eccitante, la sua radice è più stimolante delle foglie. Del resto i medici gli assegnano virtù diuretica, dà rimedio nelle malattie d'occhi, è febbrifugo e risolvente, vulnerario e narcotico nelle contusioni, nelle echimosi, negli ingorghi lattei. Le famose pillole galattifughe arcana preparazione della farmacia di Brera, constano principalmente di estratto di prezzemolo. Il seme del prezzemolo triturato in polvere serve di cipria per distruggere i pidocchi. Se si prende una certa quantità di prezzemolo e lo si pone nell'aqua per 48 ore e poi se ne spruzzi il suolo e le lettiere si è certi di essere liberati dalle pulci. Impropriamente da noi si chiamano erborinn quelle piccole macchie che troviamo nello stracchino di Gorgonzola, le quali sono ne più nè meno che muffa. In un'antica Cronica milanese troviamo che « Menina Briancea fu l'inventrice della salsa verde che fassi ottima a Milano nel Monistero Maggiore da quelle sante mani di Donna Anastasia Cotta. »
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Sardegna, dove cresce naturalmente, ma oggi è comune a tutti i paesi. Il prezzemolo non teme nè il caldo nè il freddo, non è niente delicato riguardo
Rumex da rumo, io succhio, perchè i fanciulli ne succhiano le foglie e le punte addette - nel linguaggio dei fiori - Asinaggine - è perenne, dura fino a 12 anni - si semina da Marzo a tutto Settembre - preferisce terreno umido - si moltiplica per mezzo di radici. Se ne contano 21 specie. Cresce anche nelle campagne, ma è da preferirsi quella coltivata nell'orto. Si mangia quando è verde. Preparasi in varie maniere come cibo: col burro e panna, come gli spinaci, colle ova, nelle frittate, nelle salse verdi, colla carne, nelle zuppe, negli intingoli; si mescola coll'insalata, massime alla lattuga - serve a togliere il puzzore alle carni, principalmente di pecora e castrato. Varietà: - la patientia, detta anche acetosa spinacio - (nel linguaggio dei fiori Pazienza) è indigena, si semina in Marzo e Aprile, dà fiori verdicci. Le acetose servono ad uso medicinale, in decotto e sono antiscorbutiche e contengono molto acido ossalico che fra tutti gli acidi vegetabili, è il più ricco di ossigeno — convengono in tutte la malattie infiammatorie. Dall'acetosella si prepara il noto sale di tal nome. L'acetosa, a' tempi andati fù detta anche erba alleluja, perchè fiorisce verso le feste pasquali. Impastata coll'aceto e seccata serve all'occorrenza per cambiare in poco tempo il vino in aceto — masticata scioglie i denti intorpiditi per aver mangiato frutte acerbe. La sua radice seccata e bollita dà una tinta rossa. Da noi si chiama erba brusca, pan cucch, pan mojn, de la Madonna.
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antiscorbutiche e contengono molto acido ossalico che fra tutti gli acidi vegetabili, è il più ricco di ossigeno — convengono in tutte la malattie infiammatorie
Il Ramolaccio, o Armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China. Vuole terreno sciolto, pingue e a buona esposizione, abborre il massimo caldo. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi, e i ruggini dolci d'estate si seminano da Marzo a Giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti dal Giugno a Settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il Ravanello, è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Avvi pure il Ravanello serpente (Raphanus caudatus) di Giava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi bacelli terminali che possono prolungarsi fino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati e ciò dipende dalla qualità della terra, (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e difficile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile: Raphanus digerit, at ipse non digeritur. Sviluppa flattulenze fetide ed acri rinvii. Sono da preferirsi i piccoli e giovani, perchè più teneri e meno acri. Erano celebri i ramolacci di Delfi ove li mangiavano anche cotti. Democrito li condannava. In Egitto dove erano saporitissimi - suavitate prcæcipui - si mangiavano aspersi di nitro. Campegio Sinforiano « uomo sapientissimo » dell'epoca delle crociate, dice che i più grossi al suo tempo erano quelli di Germania. Che i ramolacci sieno indigesti viene attestato anche da Cornelio Celso che scrive: a levibus cibis ad acres, ab acribus ad leves transire esse radicem, (raphanum) deinde vomere, lib. 3 cap. 16. Si voleva che guarisse dai calcoli urinarj. Oggi raschiato ed applicato come cataplasma attorno al collo, il popolo lo usa come risolvente nelle angine, e ne fa sciroppo che trova utile nella tosse ferina e nei catarri ostinati. I cronisti ci tramandano che il ramolaccio era la passione di Carlo Magno, passione ereditata da suo figlio Pipino. Dai nostri contadini viene chiamato : Salam de prœusa - e negli educandati - Polpett de magher.
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Ravanello, è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Avvi pure il Ravanello
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata. Varietà: lunga dolce (hortensis) detta, quando è cotta da noi bojocch, la rotonda a radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 % d'acqua. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla, per foraggio e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè ànno sentito il freddo.
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gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè ànno sentito il freddo.
Pianticella annuale gramignacea, acquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per esser buono, dev' essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d'altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fà pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro pascolo quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si cuoce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fà cuocere sino all'intero disfacimento, solo dai noi si mangia, come si dice al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina Milanese à dato al mondo col riso quel capolavoro, che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia, invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia, «maxima est copia, (oryza) ubi ex ea phtisana fiebat,quam reliqui mortales ex hordeo conficiebant». Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il Bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama tesoro delle paludi. Nel IX secolo era già coltivato in Sicilia. Nel 1481 il riso è annoverato fra i prodotti del Mantovano. Nel 1521 fra quelli di Novara e Vercelli. Da noi il migliore è il Milanese, il Novarese e quello delle Puglie. I medici gli danno virtù calmanti, astringenti, anti etiche. Gli Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte ingegnose manifatture. Se ne fa carta leggerissima e finissima anche per sigarette. L'acqua di riso fa diventar bianca e morbida la pelle. I Milanesi dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Il riso è la ricchezza dei nostri fittajoli: Fittavol de ris, fittavol de paradis, dice un proverbio.
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Pianticella annuale gramignacea, acquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso
Salvia è dal latino salvare per le grandi virtù che possiede. È pianta erbacea perenne, originaria dell'Armenia, si moltiplica per getti, per divisione di radici ed anche per semi. Brama terra sostanziosa ma piuttosto leggera, vuol essere di preferenza addossata al muro, ama il sole, porta fiori dal Giugno al Luglio. Nel linguaggio dei fiori: Ambizione, stima. Ve ne sono più di 80 varietà, gran parte delle quali si distinguono, per loro grato odore e per l'eleganza. L'Officinalis che è quella comunemente conosciuta si coltiva negli orti per la cucina e la medicina. La parte usata sono le foglie e le cime fiorite, à forte odore aromatico, sapore caldo amaro piccante. La salvia cruda mescolata con cipolla in insalata eccita l'appetito, massime posta sopra le alici. Se ne veste ogni arrosto in special modo gli uccelletti e i pesci, ai quali dà bonissimo odore e sapore. Pesta e stemperata con aceto, mista con zucchero ed aglio fà una salsa non isgradevole. Le minestre di legumi (e più quella di ceci) prendono sapore dalla salvia. Involta nelle frittelle massime se di farina di castagne, dicono sia ghiotta. Cotta con aceto olio, zafferano e poco zuccaro fà un'ottimo marinato per il pesce. Friggcsi la salvia con olio, burro, strutto, se ne regalano tutti i fritti. La salvia sta bene per tutto, fuori che nei lessi a' quali non s'addice per la sua amarezza. Attiva le funzioni digerenti e circolatorie, aumenta il calore animale, modifica l'influenza nervosa. La farmacia ne estrae un'olio essenziale, e ne fa un'infusione della quale la medicina si serve ad eccitare i sudori e a rianimare le forze vitali, perchè la salvia è tenuta come un buon stimolante. Il decotto di salvia è giudicato volgarmente come un febbrifugo e in primavera come un depurativo del sangue. Gli antichi ne facevano molto caso. Tutti l'ànno lodata. Da Agrippa veniva chiamata herba nobilis, herba sacra. Era tanto comune il suo uso presso i latini che inventarono perfino il verbo salviare, dare una porzione di salvia, condire colla salvia. E la Salernitana si meraviglia come possa morire un'uomo che abbia nel suo orto la salvia: - Cur moriatur homo cui salvia crescit in horto? - I medici francesi la battezzarono Teriaca naturale. La salvia veniva creduta donare l'immortalità e serviva per imbalsamare i corpi e si portava addosso e si mangiava nelle battaglie. Servio ci tramanda che il cuoco di Mecenate, faceva arrostire gli uccelletti colla salvia. La salvia è un cibo graditissimo alle api che dai di lei fiori cavano un miele saporito. Le sue foglie servono a pulire i denti. Frate Anselmo da Busto suggeriva ai predicatori e agli avvocati, di tenere una foglia verde di salvia sotto la lingua, che la rende più agile e sciolta. Guardatevi dal suggerire tale segreto alla vostra domestica. Coi fiori della salvia si prepara una conserva deliziosa. Le foglie secche si fumano come tabacco, quale rimedio antispasmodico contro la cefalalgia nervosa e l'asma. I Chinesi ne sono ghiottissimi e si stupiscono come gli Europei vadino a cercare il the nei loro paesi, mentre possedono una pianta così eccellente e che trovano preferibile al medesimo. E gli Olandesi facevano incetta in Europa della salvia per venderla carissima ai Chinesi e Giapponesi. La specie sclarea si adopera per dare il sapore moscato agresto ai gelati e ad alcuni vini.
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pesce. Friggcsi la salvia con olio, burro, strutto, se ne regalano tutti i fritti. La salvia sta bene per tutto, fuori che nei lessi a' quali non s
Allium, dal celtico all, caldo, bruciante. Bulbo conosciuto di odore e sapore acutissimo, vuoisi originario dall'Egitto e dalla Persia. Se ne contano 96 specie. Si piantano gli spicchi dell'aglio in Febbrajo e Marzo in luna piena e si raccoglie in Settembre e si conserva in luogo asciutto per l'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Sta lontano. L'aglio è l'acciuga del povero, Galeno lo chiamava la triaca dei contadini. L'uso culinario dell'aglio è antichissimo. Gli Egizi l'avevano divinizzato colle cipolle, gli Ateniesi ne erano grandi consumatori, Anaxilao filosofo lo mangiava crudo, i Celti ne usavano come preservativo nei malefizi. Era cibo usitato presso i Romani tutti, ma i ricchi sotto l'impero, cominciavano a sdegnarlo, ed Orazio, lo abborriva come il veleno.
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usavano come preservativo nei malefizi. Era cibo usitato presso i Romani tutti, ma i ricchi sotto l'impero, cominciavano a sdegnarlo, ed Orazio, lo
La senape è ricordata da Matteo, Marco e Luca nel Nuovo Testamento i quali tutti accennano a quanto disse il Salvatore che di Fede bisogna averne almeno quanto un grano di senape, e basterà questa per fare miracoli.
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La senape è ricordata da Matteo, Marco e Luca nel Nuovo Testamento i quali tutti accennano a quanto disse il Salvatore che di Fede bisogna averne
Il suo nome dal vocabolo greco che significa nocevole agli occhi. Vuoisi originaria dalla Tessalia. È pianta erbacea annuale, indigena, piuttosto coltivata che spontanea, fiorisce in Giugno e Luglio. Si propaga per semi in primavera ed ama terra sostanziosa. Nel linguaggio dei fiori : Dispetto. Avvene due varietà: la bianca e la nera. La prima à fiori grandi d'un giallo pallido, di sapore delicato, viene coltivata molto in Inghilterra e preferita per uso gastronomico. La nera à fiori piccoli gialli, dà seme più minuto ed à sapore più forte ed acuto, e questa è la più usitata. Polverizzato il seme della senape nera, serve a preparare coli'acqua, o col mosto, o coli'aceto, o collo zuccaro, o col brodo, o misto a droghe e sapori, le varie paste liquide dette mostarde o salse di senape in uso giornaliero per la tavola. I giovani getti della senape si mangiano in insalata. È antichissimo l'uso gastronomico della senape. Columella, de re rustica, ci conservò la ricetta di due salse che componevano i Romani. L'una quale press'a poco la facciamo noi oggi e serviva per condire le rape, 1' altra con pignoli ed amido, che raggiungeva esimia bianchezza, serviva al più nobile uso, di tornagusto per carni lessate e pesci. Galeno suggerisce di renderla dolce. E colla senape che si fabbrica la mostarda e la si rende più o men dolce coll'unirvi zuccaro, miele, o mosto d'uva. (Mostarda viene da mosto). La senape stuzzica 1'appetito, favorisce la digestione e rallegra lo spirito. 11 filosofo Kant usava masticarne i semi per rinvigorire la memoria. La senape serve in medicina a farne i così detti senapismi, e se ne cava un olio risolutivo. È eminentemente antiscorbutica. Lo storico Ray narra che all'assedio della Rocella, dove lo scorbuto aveva già colpito centinaia di soldati, la malattia si arrestò prontamente, facendo prendere a tutti come rimedio e preservativo l'infusione di senape nel vino bianco. Dietro ciò l'Ammiragliato d'Olanda, prescrisse che tutti i vascelli dovessero sempre portarne seco sufficiente provvigione. La Scuola Salernitana dice della senape:
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malattia si arrestò prontamente, facendo prendere a tutti come rimedio e preservativo l'infusione di senape nel vino bianco. Dietro ciò l'Ammiragliato d
Lo spinaccio o spinace di orto è pianticella erbacea annale, indigena, originaria dell'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, lavorato, si semina da Febbrajo a tutto Settembre per averne l'anno intero. Pongasi cura a coprirlo leggermente dal freddo e a tenerlo pulito dalle erbe selvatiche. Fra le varietà di spinacci notiamo quello d'Inghilterra a semi pungenti, a lunghe foglie, quello d'Olanda a foglie rotonde, di Fiandra, quello a foglie di lattuga larghissime, infine la recente varietà Viroflay, la quale sorpassa in prodotto tutte le altre. Il seme si conserva per 3 anni. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua, migliore il primo metodo. Si mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fà torte e puree, si marita alla frittata, e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu portato lo spinacelo dagli Arabi in Spagna e dalla Spagna in Italia, e dapprima erano detti spagnacci d'onde la corruzione spinacci. Serapione invece assevera che in lingua araba sono detti spanacli. Altri invece vogliono il suo nome da spina, perchè la sua semente è a punta spinosa. Opinano alcuni scrittori che lo spinaccio non fosse conosciuto dagli antichi, ma pare che fossero da questi indicati sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che Yatriplex e il blitum erano : olus iners ac sine sapore et acrimonia itila, unde convivium faciunt fwminis, sed nullius in medicina momenti. Pittagora anzi lo accusa facere hydropicos morbosque regiose ecc. I nostri medici del medio evo ordinavano il decotto di spinacci a quelli che tossivano la mattina. Onde i Milanesi anno conservato il proverbio: vess battezza con l'aqua de spinazz.
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marina. Se ne fà torte e puree, si marita alla frittata, e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu